Emozioni, queste sconosciute.
L’animo umano ne è intriso; raccontano i bisogni più profondi (nostri e di chi ci vive intorno) imponendosi sulla mente e sul corpo.
Determinano il colore del nostro essere “qui ed ora” sulla scala cromatica tra felicità e infelicità… Presupposti – tanto universali da apparire scontati – che cozzano con un’evidenza disarmante: il brodo culturale in cui siamo immersi ci allontana dalla capacità di comprendere ed interpretare consapevolmente le emozioni.
A cominciare dalla scuola, che si guarda bene dal fornirne le “istruzioni per l’uso”, tutto invita a ignorarle, dissimularle, negarle, boicottarle. Salvo poi sperimentare sulla nostra pelle gli effetti dell’incompetenza emozionale. In questa cornice interviene il Coaching, la cui relazione s’incammina proprio sulle orme delle emozioni. È un contatto emotivo costante a sintonizzare Coach e Cliente, ed è alla crescente ricerca del senso di ogni “agitazione e turbamento della mente”, di sentimenti e passioni, che il Coachee si ritrova ad affrontare percorsi interiori inediti.
Un lavoro di esplorazione del sé che invita ad allenare i principali ambiti dell’intelligenza emotiva: anzitutto la capacità di riconoscere le emozioni proprie e altrui. Poi l’abilità nel controllarle in una dimensione di autoconsapevolezza, incanalarle nel processo di motivazione di se stessi e governarle nelle relazioni sociali.
La padronanza di questo bagaglio di competenze porterà alla stessa conclusione espressa dal New York Times, nel 1995, dopo la pubblicazione del libro scritto sul tema da Daniel Goleman: “Le questioni sul lavoro, i problemi di coppia, i rapporti con gli altri diventano più chiari grazie all’intelligenza emotiva: una rivelazione”. Che il Coaching ha fatto propria sin dagli albori.