Guardare al Coaching nello sport significa rifarsi all’origine del metodo che oggi viene applicato con successo ad una moltitudine di ambiti differenti.
Gallwey, il padre del Coaching moderno, ne delineò i fondamenti osservando l’Inner Game che si consuma all’interno dell’atleta… e che finisce col consumare, se non gestito, le sue risorse psicofisiche.
Quel costante derby interiore rappresenta l’area principale del “campo da gioco” mentale entro cui allenare consapevolezza e, per dirla con Daniel Goleman, Intelligenza Emotiva.
Se in una relazione di Life Coaching l’individuazione degli obiettivi può richiedere più di una sessione, in ambito sportivo accade che l’atleta si presenti con le idee già ben chiare.
Il punto d’arrivo è scolpito nella sua mente, accompagnato spesso da una buona dose di frustrazione per il tormento generato proprio dal contrasto tra la nitidezza del futuro desiderato e l’inadeguatezza percepita nell’affrontare quel tanto che lo separa dal traguardo. Gran brutta esperienza per un agonista!
Il garbuglio verrà sciolto dal Cliente, come in ogni percorso di Coaching, attraverso la “relazione generativa” con il Coach.
La forte motivazione intrinseca, che generalmente sospinge il “vincente” (o aspirante tale), viene canalizzata grazie ad un piano d’azione che può far leva su attenzione e concentrazione, sul mantenimento di un atteggiamento positivo e confidente, sulla capacità di rilassarsi, su visualizzazione e self talk, sull’allenamento alla resilienza, sulla gestione della rabbia, dello stress e della paura.
Lo “switch” coinciderà, in molti casi, con l’istante in cui il Coachee sperimenterà dentro di sé l’effetto di una miscela potentissima: automotivazione (l’elemento di partenza) unito all’intreccio virtuoso tra miglioramento delle performance e consolidamento del senso di autoefficacia.
Questo processo aperto e dinamico porterà ad un’autoesplorazione priva di barriere.
Ed i superflui confini tra Sport Coaching e Life Coaching, fatalmente, finiranno col dissolversi.